La tecnica si è sviluppata alla fine del ‘500 in concomitanza con la moda della tarsia lapidea e del commesso in pietre dure. Tantissimi sono gli esempi artistici in ambito fiorentino, soprattutto durante il periodo mediceo che aveva amato questa tecnica nella produzione di arredi profani.
A partire dal seicento la produzione della scagliola ha interessato praticamente tutta la penisola trovando il suo baricentro a Carpi e nel modenese.
La scagliola detta originariamente anche “meschia” oppure ricorrendo all’accezione più romantica di “Pietra di luna”, è una tecnica artistica ad oggi per molti ancora poco conosciuta e soprattutto confusa con il commesso in pietre dure. Si tratta di tutt’altro metodo e materiale.
Se parliamo di edilizia si chiama scagliola quel gesso da presa per rifinire le superfici murarie oppure per realizzare cornici e elementi aggettanti. Se invece la scagliola viene miscelata con pigmenti e additivi consente di imitare materiali molto pregiati come il marmo e le pietre dure.
È dunque una particolare varietà di gesso, la selenite, che dopo una cottura a circa 130 ° C si trasforma in gesso da presa. Aggiunta con colla animale e diluita con acqua e infine pigmentata si ottiene la scagliola.
Sul piano di marmo si esegue il disegno e lo si incide scavandolo in profondità. Si introduce la meschia all’interno dei vuoti con abile maestria e poi come ultimo passaggio la sia leviga. Si realizzano pareti, pavimenti, cornici, colonne, piani di tavolo e paliotti.